L’ultimo bicchiere
Era una sera piovosa di gennaio, e il vento sibilava tra i vicoli di una Napoli silenziosa. L’ispettore Elena Costa era rimasta in ufficio oltre l’orario, come spesso accadeva quando un caso la tormentava. Davanti a lei, sul tavolo, una foto sbiadita di Luigi Mansi, noto avvocato trovato morto nel suo studio appena una settimana prima. La causa del decesso? Avvelenamento. Ma il colpevole? Ancora un mistero.
Mansi era noto per la sua ambiguità morale: un brillante legale capace di far assolvere colpevoli palesi. Non stupiva che avesse nemici, ma il metodo era insolito. Niente spari, niente coltelli. Solo una bottiglia di vino pregiato, lasciata sulla sua scrivania.
Elena aveva studiato la scena del crimine con attenzione. La bottiglia di Amarone, un’annata rara, era stata inviata con un biglietto anonimo: “Un brindisi al nostro passato.” Nessuna impronta, nessun indizio sul mittente. Ma c’era qualcosa che stonava: il bicchiere incriminato era stato usato solo per un sorso. Chiunque fosse stato, non aveva intenzione di brindare davvero.
Un’idea balenò nella mente di Elena. La parola “passato” nel biglietto. Forse qualcuno del passato dell’avvocato aveva deciso di regolare i conti. Scorrendo i suoi fascicoli, trovò un nome ricorrente: Anna Vitiello. Un’ex cliente, madre di un ragazzo che Mansi aveva difeso con successo anni prima, ma che era morto pochi mesi dopo il processo, ucciso in una rissa tra bande. La donna aveva accusato Mansi di aver liberato un assassino.
Elena decise di interrogare Anna. La trovò nel suo appartamento, un piccolo bilocale alla periferia della città. La donna, pallida e con lo sguardo perso, non sembrava sorpresa dalla visita.
“Mi aspettavo di vederla,” disse Anna, versandosi un bicchiere d’acqua. “Sapevo che sarebbe arrivata qui, prima o poi.”
“Può spiegarmi cosa intende?” chiese Elena, cercando di non mostrare troppo interesse.
Anna sorrise amaramente. “Non ho ucciso Mansi, se è quello che pensa. Ma non posso dire che mi dispiaccia.”
“Conosce questa bottiglia?” Elena estrasse una foto della bottiglia di Amarone. Anna la fissò per un istante, poi scosse la testa.
“No. Ma so chi potrebbe avergliela mandata.”
Il cuore di Elena accelerò. “Chi?”
“Claudio Rosati,” rispose Anna. “Era il fratello della vittima che Mansi ha fatto assolvere. Gli avevo raccontato quanto fossi arrabbiata, quanto lo odiassi. Non avrei mai pensato che lo avrebbe preso alla lettera.”
Elena si affrettò a verificare l’alibi di Rosati. Quando lo rintracciò, l’uomo era già pronto a confessare.
“Non ho resistito,” disse Claudio con voce rotta. “Ho comprato quella bottiglia, sapevo che era il suo punto debole. Ho aspettato anni per trovare il momento giusto. Ma non volevo ucciderlo subito. Volevo che si godesse ogni sorso, che assaporasse la sua fine.”
Un ultimo brindisi, dunque, per un uomo che aveva sempre giocato con la vita degli altri.
Mentre Claudio veniva portato via, Elena si concesse un momento di silenzio. La giustizia era stata fatta, ma la scia di dolore rimaneva. Forse era questa la vera maledizione dei colpevoli: lasciare un’eredità che li supera.
La pioggia aveva smesso di cadere, ma le strade di Napoli sembravano ancora piangere.