Premio Michele Serio

Premio Michele Serio

Un premio per celebrare il talento,
un ricordo che ispira il futuro

Un premio per celebrare il talento,
un ricordo che ispira il futuro

A casa dei Mariani, il pranzo della domenica era un’istituzione sacra, un rito che si svolgeva sempre allo stesso modo, con la stessa ferrea puntualità e, soprattutto, con le stesse assurdità.

Quella domenica, il piatto forte era il polpettone della zia Giovanna, famoso non per il sapore, ma per la capacità di sopravvivere a ogni bocca che lo incontrava. Era una pietra, sia in senso figurato che letterale. Un giorno, cadendo accidentalmente dal tavolo, aveva lasciato un cratere nel pavimento di marmo. Ma nessuno osava contestarlo, perché la zia Giovanna, piccola e ossuta, aveva un temperamento che poteva ridurre in polvere anche il cemento armato.

“Buongiorno a tutti!” esclamò Giovanni, il capofamiglia, entrando in sala con un sorriso che sembrava scolpito sul viso. Indossava la solita camicia a quadri, troppo stretta sui fianchi, e teneva in mano una bottiglia di vino che sapeva di tappo, ma che insisteva a chiamare “nettare divino”.

“Un brindisi alla famiglia!” annunciò, alzando il calice. Nessuno osò rifiutare, nemmeno il piccolo Matteo, che a sette anni beveva il vino come fosse succo d’arancia, perché “in casa nostra non si sprecano le tradizioni”.

La madre, Clara, entrò in scena con un’enorme insalatiera colma di verdure che sembravano provenire da un campo di battaglia. Alcuni pezzi di lattuga erano bruciacchiati, le carote sembravano scolpite da uno scultore ubriaco, e un pomodoro intero galleggiava nell’aceto. Ma Clara la posò sul tavolo con un’aria trionfante, come se avesse appena portato in salvo un’opera d’arte.

“Matteo, lascia stare quella forchetta!” gridò, vedendo il figlio che usava la posata come una catapulta per lanciare piselli verso lo zio Alfredo, seduto in fondo al tavolo. Lo zio Alfredo non si scompose; era troppo impegnato a pescare le olive dal proprio bicchiere di acqua frizzante con le dita. “Queste sono biologiche,” mormorava tra sé e sé, anche se nessuno gli aveva chiesto niente.

Poi arrivò il momento del polpettone. Zia Giovanna lo portò in tavola con una solennità degna di un quadro rinascimentale. Lo appoggiò con un tonfo che fece vibrare il lampadario. La famiglia si fermò, trattenendo il fiato.

“Ecco a voi il mio capolavoro,” dichiarò la zia, lanciando occhiate di sfida a chiunque osasse anche solo accennare a una smorfia.

Il primo a tagliarlo fu Giovanni, che usò il coltello con la concentrazione di un chirurgo in sala operatoria. Quando finalmente riuscì a estrarne una fetta, l’intera famiglia esplose in un applauso. Matteo gridò: “Sembra un mattone!” e tutti risero, tranne Giovanna, che lo fulminò con uno sguardo.

Ma la vera sorpresa arrivò quando Clara tagliò la seconda fetta e trovò qualcosa di strano al suo interno. “Che cos’è questo?” chiese, estraendo un oggetto luccicante.

Giovanna si avvicinò, curiosa. “Ah, è solo una moneta da un euro. L’ho messa per dare un po’ di fortuna al piatto.”

“Un euro nel polpettone?” chiese Giovanni, incredulo. “Se volevi farci un regalo, potevi darcelo direttamente!”

La zia Giovanna scrollò le spalle. “Era per aggiungere un tocco di originalità.”

L’atmosfera era al limite del surreale quando lo zio Alfredo, con la bocca piena, alzò il bicchiere e disse: “Alla famiglia! E al polpettone di ferro battuto!”

Risero tutti, anche Giovanna, che per una volta decise di concedere una tregua.

E così, tra pezzi di polpettone immangiabile, insalata improbabile e vino cattivo, la famiglia Mariani trascorse un’altra domenica indimenticabile. Perché, in fondo, era proprio quella bizzarria a renderla speciale.